Auschwitz e Birkenau

I più temibili film dell'orrore non sono quelli che ti spaventano in tempo reale per poi non lasciare alcuna traccia in seguito. Sono, piuttosto, quelli che hanno un deciso impatto durante la visione ma che lasciano, soprattutto, una sorta di eco latente di visioni e pensieri in grado di annidarsi nella mente.

1049 giorni dopo aver scattato queste foto, le immagini immagazzinate in quei momenti continuano ad avere un forte potere. Ben al di là della finzione cinematografica.

 

Questo non è un qualsiasi progetto fotografico, ma una “semplice” testimonianza che ho ripreso in silenzio. In punta di piedi. Con rispetto. Ho aspettato tanto a pubblicare questi scatti perché c'era bisogno di tempo per processarli. Ad Auschwitz e Birkenau ho visto persone fare e condividere selfie in tempo reale come se si trovassero in un qualsiasi sito turistico. La realtà è ben diversa e le mie foto, che condivido oggi poco dopo il Giorno della Memoria, intendono suggerirlo.

Ognuna di esse racconta una storia: i contenitori vuoti dello Zyklon B, le botole sul soffitto della camera a gas da cui veniva gettato, i graffi fatti con le unghie su quelle stesse pareti che mi sono trattenuto più a lungo per fotografare da solo, prima dell'arrivo del gruppo successivo. Raccontano un freddo gelido (fuori e dentro) che ricordo ancora, e raccontano gli oggetti: scarpe, occhiali, protesi, pentole e molti altri. Omettono, invece, quelli che sarebbe irrispettoso mostrare e si concentrano sul primo fattore a colpire di quel luogo: i numeri. Tutto è tanto. Tantissimo. Quantità che sono il terribile manifesto della perdita dell'individualità. 

Ma ad Auschwitz e Birkenau c'è molto di più: qualcosa che non si può raccontare né mostrare, ma che, al limite, si può sussurrare con ogni dovuta cautela.

 

Fra queste c'è anche un mio piccolo omaggio a Schindler's List.