Congetture Isomorfe

Francesco fonde la propria arte con la matematica

Un elevato numero di artisti ha condito o strutturato la propria opera sulla matematica. Geometrie che sorreggono l'impianto di un dipinto. Aritmetica che si cela fra le spire più complesse di una scultura. Forse niente di nuovo può essere inventato, ma ogni cosa può essere osservata (poi mostrata) secondo differenti 

punti di vista.

 

Se il mio lavoro sembra apparire come la potente espressione visiva di un impulso istintuale lasciato libero di essere, è forse perché ogni cosa è mostrata all'osservatore da una prospettiva che lo rende più simile a uno spettatore posto di fronte a un palcoscenico. 

Se il palcoscenico è il luogo preposto alla messa in scena dell'istinto (puro o simulato), la struttura matematica sul cui telaio si aggrappano le mie ambizioni creative, è meticolosamente celata e mimetizzata dietro e fra le quinte.

 

La mia volontà è spesso quella di suggerire un'idea di prosecutio della scena al di là del limite spaziale in cui essa viene inscritta. È il caso di ogni opera di 'Universo Instabile', dove la tela è frangente spazio/temporale non finito, aperto e fluttuante.

 

Stesso non si può dire, ad esempio, per 'Uno di voi', l'opera più ampia di 'Elevata concezione' che, nel raccontare l'ultima cena di Cristo, intende insinuare il dubbio che quello spazio regolare, intimo e concluso in cui la scena si anima, sia esso stesso un universo parallelo esaudito fra le pareti e gli archi aperti da cui la stanza è delimitata. 

La compressione dello spazio suggerisce che tutto questo sia pronto a chiudersi sulle spalle di un protagonista deluso e ferito. 

 

In entrambi i casi, al di là della più intrigante filosofia considerabile in relazione al mio lavoro,  il fattore comune è rappresentato dall'inesorabile limitazione della superficie fisica su cui le opere sono poggiate.

 

Il mondo irreale da me disegnato esiste fra il più che reale primo e ultimo millimetro della tela che lo ospita. 

E ogni millimetro fa la differenza.

 

A spingere l'essenza al di fuori di tale confine non è solo l'immaginazione di ogni osservatore, ma, in modo molto più concreto, quella matematica che solo in parte consapevolmente permea, seduce e penetra ogni mia opera.

 

Se non posso inventare niente di nuovo, posso tuttavia inventare un nuovo modo di mostrare quanto già esiste. Offrire un punto di vista differente. Opposto. Posso puntare la camera sulle e fra le quinte disegnando ciò che vede lo specchio magico mentre accoglie l'immagine del mondo e del proprio osservatore.

 

Parafrasando Schrödinger mi piace pensare che, posto in una scatola, lo specchio sia al contempo 'vivo e non vivo'. 

Se lo specchio è una mia opera, ogni volta in cui viene osservata è lo spettatore stesso a sollevare il coperchio aprendo la scatola. Cosa vede? Qual è la condizione dello specchio? Nel momento in cui sulla sua superficie è restituita un’immagine cui potersi aggrappare quale parallelo di un mondo in cui è possibile stabilire la propria esistenza, sì, questo significa che lo specchio è vivo.

Mostrare la complessità di questo processo è l'intento primo del mio lavoro.

 

È probabile ma non provato che il mio disegno sia la corretta rappresentazione delle scene che in questa serie vado narrando. Arte e matematica, quindi, pur unite in un potente 'Matrimonio del Cielo e dell'Inferno' per mia mano, devono mantenere il proprio distinto, inalterabile e isomorfo carattere.

 

Niente di provato, ma fortemente suggerito.

Niente di fuso, ma inevitabilmente interagente.

Congetture isomorfe.

 

Francesco Zavattari - 2017