La bellezza del caos, apparente, del colore che si fa segno fino a riempire lo spazio compositivo senza ripensamenti, come uno spartito senza correzioni, per divenire sublime narrazione. 

E quali storie se non quelle che sono simbolo dell’umana gente? 

 

Traendo spunto dalle Sacre Scritture, Zavattari ri-legge gli episodi biblici ma con il suo personale sguardo di uomo e artista contemporaneo per ri-scoprire il senso dell’umanità nell’accezione più bella e pura del termine.  Dieci tele e due sculture per una nuova serie, ispirata tanto alle nuances della pietra leccese quanto alla luce che veste il paesaggio del Salento e irradia le sue architetture, lasciando che i giochi chiaroscurali sulle facciate barocche imprigionino la spiritualità così come nelle pieghe di drappeggi di cartapesta che gli artigiani modellano su anime di ferro. 

 

Elevata Concezione è un percorso dentro il genius loci di una città e di una terra ma anche viaggio introspettivo dell’artista nella cui opera c’è sempre un continuo rimando al sacro. Da Conversioni disegnate (2002) a Indagine sull’ombra (2012) e Ambidexter (2014) la sua poetica visiva spazia tra arte, storia e fede, oggetto di una continua trasfigurazione. Una fede, non solo cristiana, ma traccia di religiosità che è sentimento e percezione del sacro, della vita, in primis come insegna la salvazione di Isacco. Un valore che si è perso tra i meandri di un’esistenza intrappolata nell’egoismo, nella mediocrità dell’ipocrisia, nella celebrazione di falsi idoli e ideologie. 

Ma contro queste forme di abbrutimento dell’uomo la ricerca della bellezza diventa priorità e l’arte l’unica via di fuga. La bellezza di una notte - quella del miracolo della natività - in Midnight in Bethelehem o dell’essenza stessa di maternità con Mater Divinae Gratiae che citando i canoni dell’iconologia classica mariana è un rimando alla statuaria in cartapesta. Visioni dal Sud percepito più come terra di accoglienza che di frontiera. Come nel dipinto Tempesta Salentina dove Giusto in viaggio verso Roma naufraga e viene salvato da Fortunato e Publio che convertito diverrà Sant’Oronzo. 

 

Dal Nuovo al Vecchio Testamento, l’artista sfoglia le pagine dell’Esodo con la scultura Io sono colui che sono e la trasposizione pittorica Proiezione di Io sono in 3,14. Un numero che ricorda il versetto ma anche il pi greco e rinvia alla circolarità di simboli che pervadono tutta la sua pittura come in Canone I di Elevata Concezione che sintetizza le diverse anime della Lecce barocca. 

 

Figurazioni che tessono il filo di un dialogo intimo con il luogo che li ha ispirati. Ne è una riprova l’utilizzo di cromie in linea con i toni della terra salentina presente con gli ulivi e la stilizzazione di case, dai tetti piatti, simili a facce di dadi di bodiniana memoria. Sfondo ideale di un’ultima cena ambientata tra portici dalle volte a stella: il pane è già stato spezzato, il vino è nei calici e sono ancora nell’aria le parole di Cristo “uno di voi mi tradirà”, tra gli apostoli sgomenti ce n’è uno che, impassibile, attinge dal piatto del Maestro. La valenza simbolica di questa rappresentazione va oltre la narrazione sacra, quel vino-sangue sparso sulla tavola è allusione alla crisi di valori, alla falsa convivialità che è già dentro le case, le stanze della politica. Ancora case, come quelle di calce bianca dei centri salentini, segnate del rosso sacrificale in Io passerò oltre  che anticipa con Non abbiate paura il passaggio nel Mar Rosso dove il popolo di Abramo in fuga si dirige verso un sole-rosone, che tanto ricorda Santa Croce, in un esodo che non ha mai avuto fine. Purtroppo.