La mia opera non è mai politica. Solitamente nemmeno socialmente impegnata, ma quello che ho capito, in primis incontrando i ragazzi nelle scuole, è che l'educazione è il principale antidoto contro la barbarie.
Da bambino mio padre mi ripeteva spesso “le donne non si toccano nemmeno con un fiore”. Una frase semplice ma molto incisiva. Un modo diretto e pratico per alludere al corpo femminile come a un inviolabile sacrario. Sono cresciuto quindi con l'automatica e ovvia percezione che la violenza su una donna fosse qualcosa di semplicemente inconcepibile, tanto dal punto di vista teorico quanto da quello pratico. Qualcosa di non attuabile. Poi crescendo ti rendi conto che per molte, troppe persone, questo assoluto non è poi così assoluto e che in tanti modi vengono ridefiniti nuovi limiti, sfumature, attenuanti generiche attraverso cui la violenza contro una donna arriva a essere acquisita, giustificata e, in fine, scelleratamente attuata. Battuta dopo battuta, l'ironia popolare si incancrenisce al punto di sdoganare termini come 'femminicidio', entrati ormai nel lessico comune come niente fosse. Come pezzi di cronaca da aspettarsi fra la politica e il meteo.
Cosa rende un essere umano una bestia? Cosa lo spinge a fare quello che non può essere fatto? Forse il proprio istinto? Il proprio carattere? O forse, principalmente, la propria educazione?
Forse non parliamo di una contrapposizione fra generi, religioni o culture. Forse l'attenzione dovrebbe essere concentrata sull'educazione dell'individuo. Insegnare fin dai primi anni di vita il valore e il peso di una donna. Trasmettere la sua cifra di bellezza ed elevatezza. Stimolare attraverso l'educazione una reazione di rigetto spontaneo in stile 'Arancia meccanica' in ogni bastardo a cui, anche solo per un attimo, salti in testa l'idea di allungare un mano.